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Caffè sospeso.

Ogni tanto la mia bambina piange, non voglio diventare grande mi dice. Io la abbraccio, la bacio e la stringo, lei si calma mi sorride e si addormenta. Non voglio diventare grande. Come la capisco. Se qualcuno avesse detto a me che diventare grandi comportava una serie di tristezze mute, un accavallarsi di lacrime trattenute, un tapparsi naso orecchie e bocca …beh nemmeno io avrei mai voluto diventare grande .

la sfida sta lì, si diventa grandi nonostante la nostra volontà, ci si tengono strette le emozioni che ci fanno sentire bene e nascondiamo sotto il cuscino qualche paura, ci aspettiamo una vita felice e spesso di accontentano di una mediocre, cerchiamo di non ferire e veniamo feriti, consapevolmente o meno da chi ci sta accanto e che forse, avevamo eletto a proteggerci.

Dobbiamo imparare a fare tutto e non aspettarci nulla, a saperci giostrare tra le mille caselle di stop che è il monopoli della vita, ma per carità, col sorriso.

Dobbiamo accettare frasi orribili, commenti, momenti spiacevoli, con lungimiranza e tranquillità, pena essere nervose e irascibili, dobbiamo capire gli altri, anche quando di notte ti svegliano per dirti di dormire.

Abbiamo una lista di doveri non indifferente, qualche richiesta d’amore non pervenuta, qualche caffè sospeso e qualche whassup ancora da leggere.

E allora che si fa? Prendiamoci cura di noi, facciamo quello che amiamo fare, anche se inutile agli occhi degli altri, tanto lo sappiamo che non lo è, amiamoci e trastulliamoci in tisane calde e pop corn, guardiamo film per la milionesima volta, commuoviamoci che la lacrima non è da deboli anzi, è da chi sa esprimere anche senza parlare. Non ammazziamoci di lavoro perché dobbiamo, facciamo quello che amiamo. E mandiamo a quel paese chi ci ha fatto soffrire, perché se lo merita e noi ci meritiamo un vado pieno di fiori, il profumo del pane tostato e di esaudire un sogno, quel sogno di quando eravamo bambine.

Dopo una pandemia mondiale, un eterno giorno sempre uguale (togliete la più bella Pasqua di sempre e natale con la neve…sempre chiusi dentro) ce lo meritiamo di ricordare e assecondare quello che siamo noi davvero.

Quindi?

Io disegno.

Vostra sempre I.

Quando l’epidemia finirà, non è da escludere che ci sia chi non vorrà tornare alla sua vita precedente.
La presa di coscienza della fragilità e della caducità della vita spronerà uomini e donne a fissare nuove priorità.
A distinguere meglio tra ciò che è importante e ciò che è futile.
A capire che il tempo – e non il denaro – è la risorsa più preziosa.
Chi, potendo, lascerà un posto di lavoro che per anni lo ha soffocato e oppresso.
Chi deciderà di abbandonare la famiglia, di dire addio al coniuge, o al partner.
Di mettere al mondo un figlio, o di non volere figli.
Di fare coming out.
Ci sarà chi comincerà a credere in Dio e chi smetterà di credere in lui.
Ci sarà chi, per la prima volta, si interrogherà sulle scelte fatte, sulle rinunce, sui compromessi.
Sugli amori che non ha osato amare.
Sulla vita che non ha osato vivere.

(D. Grossman)

-3 giorni a Natale

Fu allora che comparve la volpe.

— Buongiorno — disse la volpe.

— Buongiorno — rispose educatamente il piccolo principe che si girò, senza però scorgere nessuno.

— Sono qui — disse la voce — sotto il melo.

— Chi sei? — chiese il piccolo principe. — Sei molto bella…

— Sono una volpe — disse la volpe.

— Vieni a giocare con me — le propose il piccolo principe. Sono così triste…

— Non posso giocare con te — rispose la volpe. — Non sono addomesticata.

—Ah! Scusami — fece il piccolo principe.

— Ma dopo averci riflettuto su, aggiunse:

— Che significa “addomesticare”?

— Tu non sei di qui, — disse la volpe — cosa stai cercando?

— Cerco gli uomini — rispose il piccolo principe. — Che cosa significa “addomesticare”?

— Gli uomini, — disse la volpe, — hanno i fucili e vanno a caccia. Questo è molto irritante! Allevano anche i polli. È il loro unico interesse. Cerchi polli?

— No, — disse il piccolo principe — cerco degli amici. Che cosa significa “addomesticare”?

— Significa una cosa che è stata purtroppo dimenticata, — rispose la volpe — significa “Creare dei legami…”

— Creare dei legami?

— Certamente — disse la volpe. — Per me tu non sei che un ragazzino, uguale a centomila altri ragazzini. Non ho bisogno di te. E neppure tu non hai bisogno di me. Per te non sono che una volpe qualsiasi, uguale a centomila altre. Ma, se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo. Io sarò per te unica al mondo…

— Comincio a capire — disse il piccolo principe. — C’è un fiore… credo che mi abbia addomesticato…

— Possibile — osservò la volpe. — Sulla Terra accade di tutto…

— Oh! non sulla Terra — disse il piccolo principe. La volpe sembrò molto incuriosita:

— Su un altro pianeta?

— Sì.

— Ci sono cacciatori su questo pianeta?

— No.

— Questo è interessante! E ci sono polli?

— No.

— Niente è perfetto — sospirò la volpe.

— Ma la volpe tornò alla sua idea:

— La mia vita è monotona. Vado a caccia di polli, gli uomini cacciano me. Tutti i polli si somigliano, e tutti gli uomini si somigliano. Dunque mi annoio un po’. Ma se tu mi addomestichi, nella mia vita ci sarà un sole. Riconoscerò un rumore di passi che sarà differente da qualsiasi altro. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra, il tuo mi chiamerà fuori dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù, i campi di frumento? Io non mangio pane. Il frumento non mi serve. I campi di frumento non mi dicono nulla. E questo è triste! Ma tu hai i capelli dorati. Allora sarà bellissimo quando mi avrai addomesticato! Il frumento, che è dorato, mi farà venire in mente te. E adorerò il rumore del vento tra le spighe…

— La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:

— Se ti va… addomesticami! — gli disse.

— Mi va bene, — rispose il piccolo principe — ma non ho molto tempo. Ho amici da conoscere e molte cose da vedere.

— Non si conoscono che le cose che si addomesticano — sentenziò la volpe. — Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Si riforniscono dai mercanti di cose pronte all’uso. Siccome non ci sono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se vuoi un amico, addomestica me!

— Che si deve fare? — domandò il piccolo principe.

— Bisogna essere molto pazienti — rispose la volpe. — In un primo tempo ti siederai sull’erba un po’ distante da me, così. Io ti seguirò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Il linguaggio è una fonte di malintesi. Ma, ogni volta, potrai sederti un po’ più vicino…

Il piccolo principe ritornò all’indomani.

— Sarebbe meglio tornare sempre alla stessa ora — disse la volpe. Per esempio, se tu vieni sempre alle quattro del pomeriggio, alle tre io già comincerò ad essere felice. Più si avvicinerà il momento, più mi sentirò felice. Alle quattro comincerò ad agitarmi e sarò in apprensione; scoprirò allora qual’è il prezzo della felicità! Ma se tu vieni quando ti pare, non saprò mai quando preparare il mio cuore… c’è bisogno di riti.

— Che cos’è un rito? — disse il piccolo principe.

— È una cosa purtroppo dimenticata — rispose la volpe. È ciò che fa di un giorno un giorno differente dagli altri, una certa ora, un’ora differente dalle altre ore. C’è un rito, per esempio, presso i cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Per questo il giovedì è un giorno fantastico! Io mi spingo fino al limite della vigna. Se i cacciatori non ballassero a giorni fissi i giorni sarebbero tutti uguali, e io non avrei più delle vacanze.

Così il piccolo principe addomesticò la volpe. E quando l’ora della partenza fu prossima:

—Ah! — disse la volpe… piangerò.

— È solo colpa tua, — disse il piccolo principe — io non volevo farti del male, sei tu che mi hai chiesto di addomesticarti…

— Certo — rispose la volpe.

— Ma piangerai! — osservò il piccolo principe.

— Certo — disse la volpe.

— Allora non ci hai guadagnato niente!

— Ci ho guadagnato — rispose la volpe — il colore del frumento.

Dopodiché aggiunse:

— Torna al roseto. Capirai quanto la tua rosa sia unica al mondo. Quando ripasserai per dirmi addio e ti regalerò un segreto.

Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose.

— Voi non siete affatto simili alla mia rosa, non siete ancora nulla — disse. Non vi hanno addomesticato e voi non avete addomesticato nessuno. Siete nello stato in cui era la mia volpe. Non era che una volpe qualsiasi, uguale a centomila altre volpi. Ma me la sono fatta amica, e ora è unica al mondo.

Le rose erano imbarazzate.

— Siete belle ma vuote — aggiunse. — Non si può dare la vita per voi. Di certo, un passante qualsiasi penserebbe che voi siete simili. Ma lei da sola è più importante di tutte voi altre insieme, perché è lei che ho innaffiato. Perché è lei che ho protetto con un paravento. Perché erano su di lei i bruchi che ho ucciso (salvo i due o tre che ho tenuto per le farfalle). Perché è lei che ho ascoltato lagnarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa.

E ritornò dalla volpe:

— Addio — disse…

— Addio, — disse la volpe — Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L’essenziale resta invisibile agli occhi.

— L’essenziale resta invisibile agli occhi — ripeté il piccolo principe per tenerlo a mente.

— È il tempo che hai speso per la tua rosa che l’ha resa così importante.

— È il tempo che ho speso per la mia rosa… — fece il piccolo principe per tenerlo a mente.

— Gli uomini hanno dimenticato questa verità — disse la volpe. — Ma tu non la devi scordare. Si diventa per sempre responsabili di chi si addomestica. Tu sei responsabile della la tua rosa…

— Io sono responsabile della mia rosa… ripeteva il piccolo principe per tenerlo a mente.15770221385762279686538373233451

Caro Babbo Natale…

Le piccole cose, quelle sincere e belle, nascono così con occhi curiosi e tanti sogni.
La lettera a Babbo Natale è importante e in quanto sogno deve essere prodotta col materiale più prezioso di tutti.. la foglia oro.
Oggi ai Musei Civici di Treviso si è avverata una piccola magia… Un sold out bellissimo, desideri, richieste pazzesche e risate.
Grazie a Chiara Tronchin che con pazienza, professionalità e dolcezza infinita ha spiegato passato passo come fare questa bellissima C di caro… L’incipit perfetto.
È stato bello. Spero anche per tutti i bimbi presenti… sicuramente per un paio ne sono certa.♥️

Vostra natalizia I.

Google Arts & Culture

https://artsandculture.google.com/exhibit/QRKX0Dhf

La Biennale architettura sta per finire, quest’anno Less is more come si diceva una volta, e anche i saggi frequentatori delle vernici o meglio delle venues biennalesche lo hanno capito. .. o forse no ma lo hanno fatto perché lo fanno anche gli altri, gli europei.

Pochi cappelli di paglia fiorentina, non molti bebè in fascie extra hi-tech e buoni progetti, disegni, carta e china, acquerelli e sostenibilità.

Yvonne Farrell e Shelley McNamara sono le curatrici della 16. Mostra Internazionale di Architettura, che si svolge dal 26 maggio al 25 novembre 2018 ai Giardini e all’Arsenale e in vari luoghi di Venezia. Il titolo scelto è Freespace, che rappresenta la generosità e il senso di umanità che l’architettura colloca al centro della propria agenda, concentrando l’attenzione sulla qualità stessa dello spazio.

Lo spazio libero creato dalle curatrici e l’ingegno degli sponsor soprattutto Edison che con un progetto di collaborazione, oltre che garantire la presenza di servizio energetico ai visitatori della Mostra, include un intervento di Smart Audit sullo stato energetico delle principali strutture della Biennale per identificare eventuali interventi di miglioramento, son stati davvero azzeccati.

Bellissimo il progetto free market, la townie al padiglione irlanda, progetto un po utopico (nella miglior tradizione britannica, vedi Thomas More) e un po fattibile con buona volontà della comunità irlandese e aiutata dalla tecnologia. Ritorniamo a popolare i centri, a viverli e farne centri di aggregazione, recuperiamo e condividiamo.

La Mostra è affiancata da 63 Partecipazioni nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia. Sono 6 i paesi presenti per la prima volta alla Biennale Architettura: Antigua & Barbuda, Arabia Saudita, Guatemala, Libano, Pakistan, e Santa Sede (con un proprio padiglione sull’isola di San Giorgio Maggiore).

Il Padiglione Italia alle Tese delle Vergini in Arsenale, sostenuto e promosso dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane, è curato Mario Cucinella con il titolo di Arcipelago Italia.

Vostra biennalistica e sostenibile

I.

Povera Susanna bella…

Oggi ho accompagnato una classe di liceali a visitare la bella mostra su Tintoretto a palazzo ducale. La mostra è bella e davvero piena di spunti, tante idee e notizie e soprattutto la star è Susanna e i vecchioni, magistralmente interpretato da Tintoretto nell’opera del 1555.

Ai ragazzi Susanna non è piaciuta, anzi l’hanno apostrofata come grassa, cicciona, brutta… Questi commenti mi hanno lasciata davvero allibita, non perché non mi aspettassi commenti simili per carità, lavoro con le scuole da molti anni, ma mi aspettavo che la vedessero almeno personaggio catalizzatore, interessante e sensualissima. Invece niente. Niente di niente.

Vi racconto la storia, Jacopo Robusti rappresenta un momento della vicenda biblica (Daniele, 13.1-64) che ha per protagonisti due anziani giudici i quali, innamoratisi di una giovane, Susanna appunto, moglie del ricco Ioachim, la spiano per settimane fino al giorno in cui decidono di proporle di giacere con loro. In caso contrario l’avrebbero accusati adulterio: data la loro posizione sociale sarebbero stati di sicuro creduti e lei, di conseguenza, condannata a morte.

Susanna è bellissima, candida e lattea si lava credendosi sola e quindi libera di prendersi cura di sé. Questo tipo di bellezza era tipico dal medioevo, pensiamo alle caratteristiche raccontate da Dante di Beatrice o di Laura da Boccaccio, fino a Rubens o alle bellezze morbide e carnose dell’800. Essere magrissima al tempo poteva significare tisi o denutrizione quindi la bellezza era altra da questo. ..

Cosa è successo? La bellezza neoclassica di Canova, le cosce meravigliose scolpite da Bernini, le femmine di Tiziano e Veronese, le labbra delle donne di Raffaello, la donna in tutte le sue forme è bellissima.

Ragazzi ricordatevelo sempre.

Vostra giunonica I.

Regionale veloce

Sto andando al lavoro e una signora è felicissima di questo caldo perché ci ci può far la doccia tutti i giorni e non ci si deve truccare perche si suda..interessante no? Di fatto posso capire, caldo è caldo siamo sui 35 di giorno e 25 di notte (in camera 30 fisso) e di certo non è l’ideale essere un panda ma non rinuncio al kajal. ..

In compenso anche oggi ho visto il marito che accompagna la moglie a prendere il treno, aspetta che salga e va..le tiene la mano la bacia e via.

Ecco dedico a tutti, in questa giornata calda, una bella doccia (o due) e qualcuno di premuroso che vi stia accanto, senza far caldo. Solo accanto e che vi segua amabile. Solo accanto e vi temga la mano come se fosse la piu preziosa congiunzione che avete. Come se il lasciarla sia motivo per riprenderla.

Perché ce lo meritiamo. Tutti.

Vostra sudata I.

Stones of Venice

Sunshine is delicious, rain is refreshing, wind braces up, snow is exhilarating; there is no such thing as bad weather, only different kinds of good weather.

John Ruskin

Perché ha smesso di dipingere?”

“No perso il colore buono”

“E qual è quello buono?”

“Quello che non sussurra, è spavaldo e affronta la vita a testa”

Caro Gino

Oggi è stata inaugurata una mostra su di te, a Venezia alla galleria Ca Pesaro, e la settimana scorsa al Bailo a Treviso, due città a te care e ben conosciute vero?

Che bella la prima sala, ci siete tu, Arturo Martini, Felice Casorati, Boccioni e Balla, quante donne e che temperamento quelle signorine, che pensierosa la prostituta e che poesia la fanciulla piena d’amore di Arturo, tutte prodotte tra il 1904 e il 1913, voi che siete stati insieme il nuovo che avanza, voi che insieme avete fatto la generazione dei capesarini, i rivoluzionari!

Tu e Arturo avete vissuto tante esperienze insieme, nel 1907 tutti e due a Parigi e poi ancora insieme a Ca Pesaro dove conoscerete Nino Barbantini, giovane direttore ventitreenne che cerca di esaurire il sogno di Felicita Bevilacqua la Masa e di dare spazio ai giovani artisti veneziani non ancora conosciuti o rifiutati dalla Biennale di Venezia. Quando a te Gino, viene dato uno studio al secondo piano, proprio dove c’è la mostra, ne sei entusiasta e arrivi con le tue tele sotto il braccio, Nino capisce che sei tu, nel 1910 a portare la gioventù, quella lontana dalla belle époque, lontana dalla lentezza e dal decadentismo, la tua pittura è forte, vitale e diversa, è moderna.

Tu Gino che tanto hai amato la Bretagna vista nel 1909, ti ricordava certo le terre di Gauguin e dei Fauves, e poi alla Biennale a Venezia studi e ami Cézanne, tu che cerchi il segno e i tuoi tratti si fanno plastici e pieni di tempo e forza, tu che vai a vivere nello stesso anno a Burano per scappare dalla mondanità e dalla profumata Venezia di Selvatico.

Di te i tuoi amici dicevano sempre anima troppo sensibile, non regge il peso dell’ infelicità, e lo sappiamo è proprio la verità, la guerra, la prigionia, la miseria e l’amore lontano ti hanno tanto turbato. Questa fu la fine irreparabile della tua luminosissima presenza.

Di te sappiamo poco, cara anima gentile, la tua produzione è davvero esile, solo 130 opere, tra Venezia e Treviso vediamo le più famose, le tue più vibranti poesie in colore, le tue parole segno, che belli i tuoi paesaggi, li dipingevi libero, nei tuoi luoghi eletti: Burano, il Montello, la Bretagna e Asolo, e i tuoi alberi hanno l’anima, e si vede sai, la si vede bene.

Che brutta la guerra, la Grande guerra che si porta via un’intera generazione di ragazzi, di giovani uomini, spazzati via. Tu andrai in campo di concentramento e ne tornerai sconvolto, triste, ferito e la tua pittura ne risente cambiando, avvicinandosi al cubismo, a quel Picasso e Braque dei primi tempi, ma sempre guardando a Cézanne e coi tuoi colori che trascendono e non copiano la realtà.

Nel 1919 torni da Barbantini ma tutto è cambiato, la tua fragilità ti travolge e grazie al “Poemetto della sera” del 1923 ci lasci un testamento formale ed emotivo meraviglioso, una piccolissima tela apparentemente semplice e bucolica con animali al chiaro di luna che invece rappresenta simbolicamente la ricerca di un intero quando intorno si trovano solo pezzi, un groviglio di colori e di forme, un presagio.

Vent’anni in manicomio “il cielo si è oscurato per me, dentro di me è stata crocifissa la speranza, dentro di me ora c’è la follia“, nel 1927 vieni mandato a San Servolo poi Mogliano Veneto e poi Treviso al Sant ‘Artemio dove resterai fino a che non ti sei spento. Sempre visitato da amici che il più possibile hanno cercato di aiutarti, Martini e Comisso compresi, nel 1947 ti sei spento. Che anno questo 1947, ve ne siete andati tu, Zecchin e Martini, che destino eh? Nel 1948 la Biennale vi viene dedicata, a voi, giovani rivoluzionari del colore e del sentimento, a voi “antigraziosi ” che tanto avete insegnato e che ancora tanto avete da dire a noi.

Grazie Gino, grazie per la tua forza e le tue debolezze, per le sperimentazioni e per aver portato la Bretagna sul Montello e su Burano, te ne sono infinitamente grata.

Omaggio a Gino Rossi, Museo Bailo, Treviso 18 febbraio – 3 giugno 2018.

Gino Rossi a Venezia, Ca’ Pesaro, Galleria internazionale di arte moderna, 23 febbraio – 20 maggio 2018.

Ciao I.

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